Mafie & Social Media: intervista ad Anna Sergi con VIDEO

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La Dott.ssa Sergi è specializzata in giustizia penale comparata, criminalità organizzata e mafie. Nel 2018 ha vinto il Premio 2018 alla carriera presso l’Università dell’Essex per le sue ricerche sulla mafia calabrese in Australia, e la Camera di Commercio Italiana nel 2018 le ha conferito il Premio “Giovani Italiani di talento”. La Dott.ssa Anna Sergi è la responsabile del progetto C.R.I.M.E (Countering regional Italian Mafia expansion) finanziato dal UK ESRC Impact Acceleration Account all’ Università di Essex.Utilizzando open data e risorse dirette, ricerche precedenti e in corso grazie alle partnership privilegiate con Eurojust Italian Desk and Operations ed Europol, il rapporto Mafiaround Europe – derivante dal progetto CRIME (Counting Regional Italian Mafia Expansion) presenta la prima analisi della presenza delle mafie italiane in 7 paesi europei oltre all’Italia e le sfide della polizia transfrontaliera che si occupa di contrastare la criminalità organizzata di tipo mafioso.Il rapporto evidenzia come le attività di stampo mafioso si siano adattate ai singoli paesi, alla loro economia, cultura, infrastrutture e reti logistiche.A causa dei ritardi e delle restrizioni introdotte dalla pandemia di COVID-19, CRIME è stato rimodellato nell’estate del 2020 per co-produrre un rapporto esplorativo che esaminasse le principali tendenze sulla mobilità delle mafie italiane in Europa oggi. La dott.ssa Sergi, ha collaborato con Eurojust (Italian Desk and Operations) e Europol Italian Organised Crime Unit come partecipanti privilegiati e partner di questo progetto fin dall’inizio, ma il progetto è rimasto autonomo da entrambe le istituzioni.Queste istituzioni, insieme ad altre (quali diverse Direzioni Distrettuali Antimafia, la DIA – Direzione Investigativa Italiana Antimafia attraverso i suoi rapporti, e il Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno italiano) hanno sostenuto il progetto attraverso interviste e scambi di dati sulla criminalità organizzata italiana in Europa. E’ fondamentale proseguire e potenziare la lotta alla criminalità di stampo mafioso a livello europeo. Questo rapporto rappresenta uno sforzo unico per sistematizzare le conoscenze sulle mafie italiane e sulla loro preoccupante presenza in alcuni Stati membri dell’UE.È anche una preziosa fonte di ispirazione per affrontare le carenze persistenti del diritto penale e strumento per aiutare i professionisti nella loro cooperazione transfrontaliera quotidiana con i partner dell’UE.”Filippo SpieziaMEMBRO NAZIONALE PER L’ITALIA ED EX VICEPRESIDENTE IN EUROJUST In questa intervista la Prof. Sergi ci spiega com’è nata l’idea progettuale e ci parla del metodo alla base dell’indagine in oggetto, ci espone i risultati ed ci fornisce dei validi spunti per proseguire, tramite dei progetti ad hoc, il lavoro del suo team di ricerca, per dotare la società civile di strumenti utili alla lotta ed al contrasto delle mafie in Europa. Abbiamo voluto concludere questo ciclo di interviste offrendo ai nostri lettori una visione Europea del problema in oggetto.La Dott.ssa Sergi ci ha spiegato infatti che i dati ci raccontano che gran parte del problema è la schizofrenia dell’Italia.L’Italia deve decidere se la mafia è un problema solo suo, oppure prendere la via europea e dire che tutti i paesi hanno la mafia, dunque la mafianon è speciale. O la mafia è troppo italiana o la mafia non è solo italiana, non può essere entrambe le cose altrimenti si rischia di confondere l’estero. Tantissimi spunti sono emersi da queste settimane di confronto con gli experts del nostro panel. Spunti di cui faremo tesoro per progettare delle forme di contrasto e contro narrazione mafiosa pratiche e concrete. 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Mafie & Social Media: intervista a Davide Bennato con VIDEO

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Gli abbiamo chiesto in che modo questo tipo di approccio può aiutarci a comprendere i nuovi comportamenti mafiosi e quali elementi di studio può fornire questa tecnologia sull’utilizzo dei social media da parte dei criminali online https://www.youtube.com/watch?v=QUjLKQMYg-8 Il Prof. Davide Bennato ci ha spiegato che il suo metodo di ricerca può fornire un punto di vista nuovo sia sull’analisi dei processi sociali mafiosi, sia sulle metodologie utilizzate per combatterlo. Avanzati strumenti, come la social network analysis, possono aiutare gli inquirenti nelle indagini e svelare nuove piazze virtuali di incontri tra boss. Abbiamo altresì avviato una riflessione sugli influencer criminali. Chi c’è dietro i social media delle mafie, l’ultimo anello della catena di potere, la voce fuori dal coro che agisce in autonomia o invece ci sono i decisori?I boss che decidono come agire sono consapevoli dell’uso che i giovani affiliati fanno di questi strumenti e si è sì, sono d’accordo con queste pratiche? Dagli studi del Prof. Davide Bennato si evince come tutto dipenda dalla natura dell’organizzazione criminale e dalla struttura intrinseca delle mafie. Le mafie, infatti, si distinguono le une dalle altre per organizzazione, divisione degli oneri ed equilibri di potere.Se la ndrangheta può considerarsi una vera e propria rete, un network tra clan, la mafia siciliana invece ha una struttura piramidale più gerarchica ed organizzata.Nel caso della ndrangheta dunque sicuramente mantenersi in contatto con i “followers” è un vantaggio più concreto che per i mafiosi siciliani e questo palesa come le nuove tecnologie non siano altro che l’espressione di una logica culturale ed organizzativa del fenomeno mafioso a cui fanno riferimento. L’altro aspetto da prendere in considerazione per un’analisi esaustiva del fenomeno pare essere quello dei flussi economici che sostentano oggi le mafie. La mafia più legata alle nuove fonti di guadagno, come centri scommesse, truffe informatiche, sicuramente è ben consapevole delle opportunità e dei rischi nell’uso di questi strumenti.Le mafie invece dei flussi economici tradizionali, come la droga, la prostituzione, hanno molta più difficoltà a capire la complessità di tali strumenti ma apprezzano comunque il fatto di essere visibili sulle piattaforme digitali. Sebbene proprio in questi mercati non sia da sottovalutare l’uso di piattaforme che utilizzano la crittografia end-to-end, come Telegram, che offrono spazi di libertà nelle comunicazioni anche ai delinquenti di piccolo calibro come spacciatori o usurai.Si può dire quindi che guardare le mafie attraverso la lente dei social media ci disegna un quadro del fenomeno pieno di ombre, non uniforme, variegato e per questo più complesso. Esistono già case studies sull’argomento basati su questo metodo? Quali sono e quali risultati hanno prodotto? Se non esistono, di quali strumenti bisognerebbe dotarsi per procedere ad uno studio del genere? Quale sarebbe il metodo da seguire? Il Prof. Davide Bennato ci ha parlato di un’interessante applicazione della tecnica della social network analysis per la creazione di reti territoriali che utilizzano le informazioni dei media digitali per ricostruire le reti di potere all’interno degli enclave mafiosi. Ci ha illustrato inoltre come utilizzare indicatori indiretti, come alcuni studi effettuati sul fenomeno neomelodico, la cui industria musicale è molto spesso, anche se non sempre, contigua a quella criminale, possa fornire altri interessanti strumenti di analisi.L’insistenza in forme diverse delle mafie online insomma può fornirci dei nuovi ed avanguardisti strumenti per mappare quali sono oggi le reti di potere su cui si basano. Altro argomento della nostra intervista ha preso spunto dall’iniziativa “Mappa dell’Intolleranza” un progetto ideato da Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano. Il progetto utilizzava degli strumenti computazionali per analizzare delle keyword specifiche per disegnare una mappa dell’odio online nel territorio italiano.Il Prof. Bennato ci ha spiegato in cosa consiste una simile ricerca ed in che modo si potrebbe adattare questo tipo di analisi al fenomeno mafioso per tentare di ricreare una mappa della mafiosità online, che possa essere uno strumento utile per associazioni del terzo settore come Giosef Italy ma anche per gli inquirenti. Da quanto ci ha spiegato il Prof. Bennato in questa intervista gli strumenti che potrebbero attivarsi per creare nuove frontiere di contrasto e contro narrazione al fenomeno mafioso sono moltissimi. Abbiamo la possibilità di sfruttare le “ingenuità” nell’uso di questi strumenti di una grossa fetta della comunità mafiosa per entrare nella rete e iniziare a sfilarla piano piano. Per questo auspichiamo che questa nostra ricerca sia solo l’inizio di una conversazione più strutturata, dove scienziati dei dati come il Prof. Davide Bennato ed esponenti di magistratura e forze dell’ordine possano sedersi allo stesso tavolo per capire insieme come utilizzare le rispettive informazioni per ricavarne di nuove e puntuali. Le mafie si evolvono costantemente, insieme alla nostra società, ma delle volte lo fanno senza troppa consapevolezza, lasciandosi alla spalle delle briciole, dei cookies, il nostro compito è raccoglierli studiarli e seguirli fino alla fonte del problema, per provare, insieme a sconfiggerlo per sempre. Condividi Articoli correlati All Posts News Mafie & Social Media: intervista ad Anna Sergi con VIDEO Recenti Intervista a Giosef Italy per Rai Parlamento ESC FACTOR storie d’Europa: Maria Gil, Donna, Cigana, Attivista. ESC FACTOR storie… Leggi l'articolo Mafie & Social Media: intervista
Mafie & Social Media: intervista a Enzo Ciconte con VIDEO

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Dal 1997 al 2010 è stato consulente presso la Commissione Parlamentare Antimafia e il suo libro ” ‘Ndrangheta dall’unità ad oggi” del 1992, è il primo studio a carattere storico sulla ndrangheta. In generale tutti i suoi libri disegnano un quadro lucido e puntuale delle mafie italiane.Prendiamo spunto per questa conversazione proprio dal suo ultimo lavoro “Dall’omertà ai social: come cambia la comunicazione delle mafie”, Edizioni Santa Caterina, in cui sono analizzati numerosi aspetti del fenomeno mafioso nel nostro paese. Partiamo dal titolo del primo capitolo del libro che dice “per capire le mafie bisogna ascoltarne i silenzi”. Cosa intende? “Intendo una cosa molto semplice, noi dobbiamo immaginare l’organizzazione mafiosa come un’organizzazione, intanto, segreta.Segreta per tanti, ma segreta soprattutto per le forze dell’ordine, per i magistrati, non per i cittadini che devono conoscerla.Il silenzio nell’organizzazione mafiosa è importante per almeno due ragioni.La prima: l’ affiliato, chi diventa mafioso che diventa ‘ndranghetista, camorrista, deve mantenere il silenzio sulle attività della propria organizzazione. Quindi non devi parlarne con nessuno. Questa è la prima questione.La seconda questione: c’è un silenzio che avvolge l’organizzazione mafiosa, che è il silenzio delle vittime, che non parlano e non denunciano e il silenzio di chi viene corrotto dalle organizzazioni mafiose, è il silenzio mantenuto per secoli sulle donne, che erano considerate totalmente estranee all’organizzazione mafiosa e non era vero.E’ il silenzio della chiesa sulle organizzazioni mafiose, quindi è un silenzio che coinvolge molte.Se tu non studi queste cose, non capisci le organizzazione mafiose, se tu non studi il rapporto tra le mafie e il silenzio della chiesa, non capisci perché nel corso dei secoli, soprattutto quando la chiesa contava, contava parecchio nella società,non hanno detto nulla nei confronti delle mafie.Ecco perché dico se vuoi capire le mafie devi capire il silenzio” Antichissimo e ultramoderno, come è cambiata negli anni la comunicazione della ndrangheta? “La comunicazione dell’ndrangheta, ma non soltanto della ndrangheta, questo riguarda anche la mafia siciliana e la camorra napoletana, è cambiata perché è cambiata la società.Noi non dobbiamo commettere l’errore di pensare che i mafiosi vivono nell’iperuranio, che non sono toccati dai cambiamenti della società, e che vivono in un mondo completamente avulso da quello che succede in mezzo a noi. Non è così.Al tempo dei telefonini, di Facebook, di Instagram, di TikTok, non è che i mafiosi potevano fare a meno di questi di questi strumenti. E’ evidente che dovevano essere presenti li anche loro.Quindi è cambiato il linguaggio, ma è cambiata per certi aspetti, una parte della natura della ndrangheta.Una volta la ndrangheta era silenzio. “A megliu parola, e chilla chi non si dice”, la migliore parola è quella che non si dice.Invece adesso esattamente l’opposto. Adesso i mafiosi sono su Facebook, postano le loro foto, dicono le cose che vogliono dire, fanno dei filmini, mostrano armi, mostrano la capacità di ricchezza che hanno, cioè comunicano come facciamo noi. In questo momento i giovani che ci stanno leggendo non potrebbero immaginare la loro vita senza un telefonino, perché dovrebbero farlo i mafiosi che fanno parte di questa società, che stanno in mezzo a noi? Non è che i giovani mafiosi sono diversi dai giovani normali, sono diversi senso che sono mafiosi, però i loro costumi sono identici a quelli dei loro coetanei, sono identici i gusti.” Questi giovani mafiosi che usano i social network e tutti gli strumenti che internet oggi mette a disposizione sono consapevoli del pericolo al quale si espongono lasciando le loro tracce sul web? Oppure non ne sono consapevoli e utilizzano questi strumenti anche andando incontro a delle possibili segnalazioni delle autorità? “Sono consapevoli ed allo stesso tempo inconsapevoli. Nel senso che loro sanno benissimo che comunque sia le autorità li tracciano. Io credo che nessuno di loro si immagini di rimanere, come dire, libero da indagini.Sono consapevoli ma vogliono ottenere ugualmente il consenso.Loro vogliono convincere gli altri giovani, a scegliere quella strada lì.Oggi hanno capito che più delle riunioni formali, più dell’ atteggiamento spavaldo in piazza, conta molto anche mostrarsi a questi ragazzi che hanno voglia di cambiare vita, perché è nei giovani la voglia di cambiare vita.E vogliono mostrare a questi giovani che loro sono arrivati ad un punto di ricchezza e di potere proprio in ragione della loro appartenenza.Quindi il messaggio che mandano questi video, questi filmati, queste fotografie è esattamente questo: cercare di portare questi giovani dalla loro parte.Loro cercano il consenso, ed è un modo per dire agli altri quello che fanno quando sono bravi, che i loro genitori, i loro fratelli che sono in galera, sono completamente innocenti.D’altra parte, lei ha mai visto un mafioso colpevole?I mafiosi non è che sono tutti quanti intelligenti, sono anche cretini e per fortuna che ci sono i cretini, così almeno li beccano.Alcuni latitanti, per esempio, si sono fatti una fotografia, l’hanno postata sul loro profilo, sul profilo di qualche amico, mostrando il grande albergo a 5 Stelle dietro le loro spalle, non sapendo che in questo modo sarebbero stati presi, infatti li hanno catturati, perché guardando gli alberghi, i Carabinieri poi capiscono quali sono gli alberghi dove loro stanno.Quindi per fortuna ci sono anche i cretini che dicono a farsi beccare, diversamente potrebbero voluto farsi la latitanza.Cos’è questo? È un mostrarsi.Oggi, purtroppo, viviamo nella società delle immagini, se tu non
Mafie & Social Media: intervista ad Attilio Bolzoni con VIDEO

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Ha iniziato collaborando con il quotidiano “L’Ora” ed è stato poi corrispondente di Repubblica dal 1982. Ha vinto il premio per il giornalismo per aver raccontato per oltre trent’anni la storia della Sicilia e delle mafie e nel 2019 ha scritto il suo ultimo libro, “Il padrino dell’antimafia” edito da edito da Zolfo Editore, dove racconta la storia di Calogero Montante l’ormai celebre “pupo e puparo” della “legalità siciliana”. Oggi scrive per “Domani” il nuovo quotidiano di Carlo De Benedetti. La nostra intervista ha come oggetto una riflessione sul tema dell’evoluzione della comunicazione delle mafie all’epoca dei social network. Se pensiamo a quanta differenza intercorre tra il l’idea del mafioso con la lupara e la coppola “che niente sa e niente dice” ad un Luciano Leggio che nel 1986 si fa intervistare in televisione da Enzo Biagi: Come si è evoluto nella storia il modo di comunicare delle mafie? “Esiste intorno a questi temi una grande superficialità nell’informazione. Molta recita, molta giaculatoria, molta informazione galleggiante e poco vero sapere. Partiamo da Palermo. Ad un certo punto nel quartiere dello Zen, dopo l’arresto di uno dei presunti capimafia del posto, che era diventato famoso lo scorso anno per aver distribuito viveri alla gente del quartiere, gli equilibri cambiano, diventano instabili. Così una sera avviene una sparatoria. E’ successo proprio un mese e mezzo fa, una grande sparatoria. Tre rimangono a terra, tre finiscono all’ospedale di Villa Sofia al pronto Soccorso: uno ha una pallottola che gli frantuma la caviglia, uno alla spalla, fino a qua tutto regolare. Questi tornano a casa e la sfida, che era cominciata per strada a colpi di pistola, si trasferisce su Facebook, si insultano su Facebook. Allora ha ragione Maresco nel suo film “Non c’è più la Mafia di una volta”. Cioè la mafia è un’organizzazione segreta, criminale e questi vanno su Facebook. Ma allora di che stiamo parlando? È questa la mafia? O quell’altra dei “nuovi capi mafia” che stanno nel Golfo di Mondello con gli acquascooter, che si fanno i selfie ed urlano, gridano e ridono.Tutto il contrario di quello che noi abbiamo pensato che fosse la mafia nei 50,100,300 anni precedenti. C’è un mutamento antropologico. Mutamento antropologico che “dalla ricotta” e da quella verdura chiamata cicoria – come diceva il vecchio zio Bernardo Provenzano – arriva a tutto quello che è costoso, esclusivo, ricco. Ma è questa la mafia, o è la rappresentazione che il potere vuole dare della mafia? Per me la mafia non è questa, questa è la mafia da marciapiede, la mafia da borgata di sangue e di merda. La vera mafia è la mafia di sempre, che fa accordi col potere ed è silenziosa, che fa accordi con la politica, con la finanza, con l’imprenditoria.” Abbiamo visto in questi anni il proliferare su Facebook di gruppi e pagine che veicolano messaggi mafiosi. Emblematico è il caso di quel gruppo, “Onore è dignità” che raccolse quasi 20.000 follower che si scoprì essere stato creato da tale Vincenzo Torcasio, boss di un clan della ndrangheta condannato poi a 30 anni di carcere nel 2017 . Quali sono i rischi ed i pericoli attorno un fenomeno del genere? Il fatto che un mafioso più o meno influente possa, tramite lo strumento social, lanciare questi messaggi criminali ai cittadini, quale rischio rappresenta? “Guarda i rischi sono tanti,tu hai fatto questo esempio, ma vogliamo parlare dei del figlio di Totò Riina che ha la sua bella pagina? Vogliamo parlare del primo genero di Totò Riina, Tony Ciavarello che interviene su Facebook e lancia minacce colleghi miei giornalisti? I rischi sono tantissimi. Ti racconto una cosa che pochi sanno perché l’ho tenuta abbastanza riservata, ma questa è l’occasione per parlarne. Due anni e mezzo fa io avevo un blog su Repubblica che adesso è sul Domani. A un certo punto ho chiesto al presidente del Senato Grasso, ad un vescovo, al ministro della Giustizia Orlando, a 5 o 6 funzionari della DIA, a 5 o 6 magistrati famosi, un intervento sul 23 maggio e ciascuno di loro mi ha fatto una riflessione che io ho cominciato a pubblicare sul mio blog. Dopo due o tre giorni Facebook mi ha oscurato tutto. Quindi ha oscurato il presidente del Senato, il Ministro di Grazia e Giustizia, un vescovo, 5 funzionari della dia, 5 alti magistrati, interventi ne osceni né fuori dalle righe. Erano ricordi del dottore Falcone e del dottore Borsellino. Perché questo è successo? Perché qualcuno è intervenuto. Ha segnalato questi post, che Facebook senza fare un’istruttoria, ma con il famigerato algoritmo, ha oscurato. Allora è terrificante questo strumento. Se “Onore è rispetto” è online, se il figlio di Riina può farlo e poi il presidente del Senato o il ministro di Grazia e Giustizia non possono intervenire, c’è qualcosa di straordinariamente pericoloso”. Non potrebbe essere uno strumento utile quello di indagare partendo proprio dagli amministratori di questi gruppi Facebook, da chi crea queste pagine Facebook? Esistono delle inchieste giornalistiche, anche internazionali, nate appunto da piste basate sull’osservazione dei social network? “ L’Italia è più avanti di altre
Mafie & Social Media : la comunicazione mafiosa ai tempi dei social network

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