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L’appello di Giosef Italy per la liberazione immediata dell’equipaggio della Freedom Flotilla
La Madleen della Freedom Flotilla è salpata dal porto di Catania il 1° giugno 2025.
A bordo, dodici volontarə della società civile internazionale e diversi carichi di aiuti umanitari: medicinali, alimenti, beni essenziali, destinati alla popolazione palestinese assediata di Gaza. Il suo nome è un omaggio a Madleen, la prima e unica pescatrice donna di Gaza nel 2014, divenuta simbolo di autodeterminazione in un contesto in cui anche gettare le reti in mare può significare sfidare la morte.
Quella della Madleen non è stata una missione neutra. È stata un atto politico, civile, umanitario: un gesto di disobbedienza concreta contro il blocco illegale che da oltre 18 anni trasforma la Striscia di Gaza in una prigione a cielo aperto. Un blocco che priva oltre due milioni di persone dei mezzi fondamentali per vivere, e che l’ONU ha più volte definito una forma di punizione collettiva vietata dal diritto internazionale.
Questa notte, 9 giugno, la Madleen è stata intercettata in acque internazionali dall’esercito israeliano. Droni e quadricotteri hanno circondato l’imbarcazione, l’hanno colpita con sostanze chimiche che causano bruciore e irritazione, hanno interrotto le comunicazioni radio e, infine, sono saliti a bordo. Le dodici persone presenti, tutte civili, sono state sequestrate con la forza. Di loro, al momento, non si conosce la destinazione né le condizioni.
L’attacco alla Madleen non è un incidente. È un affronto deliberato al diritto internazionale, una violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, e un attacco diretto a chiunque ancora creda che la solidarietà non possa essere un crimine. Si tratta inoltre dell’ennesimo episodio in una strategia sistematica che mira a spegnere ogni voce di dissenso, ogni forma di intervento civile che cerca di rompere l’assedio, ogni tentativo di affermare che tutte le vite hanno lo stesso valore.
Il nostro dovere, oggi, non è solo quello di indignarci. È quello di nominare le cose per ciò che sono: il blocco di Gaza è illegale; l’attacco a una nave civile in acque internazionali è un atto di pirateria di Stato e un crimine di guerra; la deliberata privazione di cibo, acqua, elettricità, assistenza medica, è parte di un disegno genocida riconosciuto come tale da giuristi, ong internazionali, e da pronunce ufficiali come quella della Corte Internazionale di Giustizia nel procedimento intentato dal Sudafrica.
Come Giovani Senza Frontiere non accettiamo che il diritto umanitario venga ignorato, che la popolazione palestinese venga condannata al silenzio e alla fame, che la società civile internazionale venga perseguitata per aver preso posizione. Il nostro impegno come organizzazione giovanile euro-mediterranea si fonda sulla giustizia sociale, sulla dignità dei popoli e sul rifiuto attivo della complicità.
Per questo chiediamo:
1. Il rilascio immediato e incondizionato delle persone sequestrate a bordo della Madleen, con garanzie consiliari, legali e mediatiche da parte dei governi di appartenenza, del governo britannico di cui la Freedom Flotilla batte bandiera e dell’Unione Europea;
2. La fine del blocco di Gaza e l’apertura stabile di corridoi umanitari, sotto garanzia internazionale, affinché gli aiuti possano raggiungere la popolazione civile e affinché le organizzazioni umanitarie possano operare senza venire criminalizzate;
3. Il riconoscimento politico e giuridico del genocidio in corso a Gaza, con il sostegno alle indagini internazionali e la sospensione immediata di ogni forma di cooperazione militare, tecnologica o economica con lo Stato di Israele fino alla cessazione delle violazioni.
Non si tratta soltanto di Gaza. Si tratta di cosa siamo dispostə a tollerare in nome della convenienza diplomatica. Di cosa resta della dignità umana quando la fame diventa arma, e la solidarietà diventa reato. Si tratta della coerenza delle nostre democrazie, del significato autentico di diritti umani, del valore che diamo — o neghiamo — alla vita delle persone a seconda della loro origine, fede, geografia.
Ogni nave come la Madleen, ogni corpo sequestrato, ogni voce messa a tacere ci interroga. E ci impone di scegliere da che parte stare. Non nell’astrazione di un dibattito geopolitico, ma nel concreto delle nostre responsabilità civili, morali, politiche. Noi abbiamo scelto. Siamo e saremo al fianco di chi resiste, di chi rompe l’assedio, di chi rifiuta il silenzio.
Perché senza giustizia per Gaza, non ci sarà giustizia per nessunə.
E senza memoria di oggi, non ci sarà pace domani.
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