
Recenti Diritti senza confini: la posizione di Giovani Senza Frontiere sulla Palestina occupata Youth Lens: a Casapesenna per riscrivere la...
Perché un position paper?
Giovani Senza Frontiere, un ente di promozione sociale attivo nel terzo settore, è profondamente impegnato nell’engagement giovanile attraverso iniziative europee e mediterranee. La nostra ferma condanna delle azioni compiute nei territori occupati della Palestina non rappresenta solamente un imperativo etico, ma è intrinsecamente legata alla nostra missione di tutela dei diritti umani e giustizia sociale.
Le condizioni nei territori palestinesi, contrassegnate da sistemiche violazioni dei diritti fondamentali e una occupazione duratura che ha provocato vasta sofferenza, necessitano di un’attenzione critica e di un impegno risoluto da parte di tutte le entità che operano nel campo della cooperazione internazionale. Giovani Senza Frontiere sostiene che il silenzio e l’inazione possano essere percepiti come complicità o accettazione delle ingiustizie subite dal popolo palestinese. In tal senso, ricordiamo che la Corte Penale Internazionale (ICC), nella sua giurisdizione su crimini commessi nei Territori Palestinesi Occupati – come ribadito nella decisione del 5 febbraio 2021 – ha riconosciuto la competenza a indagare su crimini di guerra e contro l’umanità, in conformità allo Statuto di Roma. Questo rafforza l’obbligo per gli attori della cooperazione internazionale di agire in linea con i principi di legalità internazionale, responsabilità e non complicità.
(ICC, Pre-Trial Chamber I, Decision on the Prosecution’s request pursuant to article 19(3) of the Statute, 5 February 2021)
Attraverso questo position paper, Giovani Senza Frontiere dichiara esplicitamente la propria opposizione alle politiche e pratiche responsabili di espropriazioni forzate, espansione degli insediamenti e demolizioni di abitazioni, restrizioni severe alla libertà di movimento, uso eccessivo della forza e ‘assedio economico di Gaza, Gerusalemme Est e Cisgiordania, e la tragica perdita di vite umane. Crediamo fermamente che tali azioni compromettano le possibilità di pace e sicurezza nella regione e costituiscano gravi violazioni dei principi internazionali che ci impegniamo a difendere.
Assumere questa posizione è essenziale per rimanere coerenti con i nostri principi di equità, giustizia sociale e solidarietà umana. Inoltre, rappresenta un contributo attivo al sostegno delle comunità vulnerabili e alla costruzione di un futuro in cui i diritti di tutti siano rispettati. Con questo documento, Giovani Senza Frontiere non solo prende posizione contro le ingiustizie, ma si impegna anche a favorire il dialogo, la comprensione e la cooperazione tra i popoli, elementi fondamentali per costruire ponti e promuovere l’applicazione equa dei diritti umani, senza doppi standard.
Nel corso degli ultimi decenni, l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, ha continuato a esacerbarsi, con ripercussioni devastanti soprattutto per la popolazione palestinese nei territori occupati. L’escalation di violenze e la sistematica erosione dei diritti fondamentali dei palestinesi da parte delle autorità di Israele hanno sollevato preoccupazioni internazionali significative. In particolare, le azioni intraprese nelle aree occupate sono state caratterizzate da espulsioni forzate, distruzioni di proprietà, limitazioni severe alla libertà di movimento, accesso ineguale alle risorse essenziali, e attacchi che hanno frequentemente colpito la popolazione civile.
Tali pratiche, per la loro intensità e sistematicità, sono puntualmente etichettate da molte organizzazioni internazionali come azioni che rientrano nella definizione di genocidio culturale, secondo le convenzioni internazionali, inclusa la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio delle Nazioni Unite. Questa situazione ha generato un urgente bisogno di attenzione e azione internazionale, non solo per porre fine a queste gravi violazioni, ma anche per sostenere i diritti umani fondamentali e la dignità della popolazione palestinese.
La storia di questo conflitto ha origine nel 1948 con la Nakba, termine arabo che significa “catastrofe”. In quell’anno, la fondazione illeggitima dello stato di Israele coincise con l’esodo forzato di circa 700.000 palestinesi e la distruzione di oltre 500 villaggi, un evento che ha lasciato cicatrici profonde nella memoria collettiva palestinese e ha segnato l’inizio di un lungo percorso di sofferenze e di spostamenti forzati.
Nel 1967, la guerra dei sei giorni ampliò ulteriormente le tensioni, culminando nell’occupazione israeliana di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Questo evento segnò l’inizio di una gestione militare e civile da parte di Israele che persiste fino ad oggi, nonostante le numerose condanne internazionali. Il periodo dal 1987 al 1993 vide la Prima Intifada, un’insurrezione palestinese contro l’occupazione israeliana che si distinse per la sua intensità e la durezza delle risposte militari, causando morti significative sul fronte palestinese e attirando l’attenzione mondiale sulla grave situazione umanitaria nei territori occupati.
Nel 1993, i trattati di Oslo furono visti come una speranza di pace, ma nonostante alcune iniziali promesse, finirono per complicare ulteriormente il panorama politico senza risolvere le tensioni fondamentali, lasciando molti obiettivi irrisolti. La Seconda Intifada, dal 2000 al 2005, fu ancora più devastante della prima. Questa ondata di violenza aggravò le condizioni di vita dei palestinesi e intensificò le politiche restrittive israeliane.
Più recentemente, nel 2018 e 2019, la Grande Marcia del Ritorno vide migliaia di palestinesi a Gaza protestare lungo il confine, chiedendo il diritto al ritorno e la fine del blocco. La risposta militare israeliana a queste manifestazioni fu estremamente violenta, risultando in centinaia di morti e migliaia di feriti tra i manifestanti. Nel 2021, le tensioni si sono nuovamente acuite a Gerusalemme, in particolare nel quartiere di Sheikh Jarrah, dove le espropriazioni forzate e gli insediamenti illegali hanno scatenato ulteriori scontri e condanne internazionali.
Il presente documento si propone di esprimere una condanna formale e inequivocabile delle azioni compiute da Israele nei territori occupati, azioni che rappresentano gravi violazioni dei diritti umani e contravvengono a numerosi principi del diritto internazionale.
Questo position paper mira specificatamente a denunciare:
1. Le espropriazioni forzate: In molteplici occasioni, Israele ha condotto espropriazioni forzate di terreni e proprietà palestinesi nei territori occupati. Queste azioni sono state attuate attraverso ordini militari e legislazioni specifiche che hanno legalizzato retroattivamente prese di possesso di terre palestinesi, trasformandole spesso in insediamenti o infrastrutture militari. I quartieri e le comunità palestinesi, in particolare a Gerusalemme Est e in altre parti della Cisgiordania, sono stati soggetti a un sistematico processo di espropriazione che ha spostato forzatamente migliaia di palestinesi, sradicandoli dalle loro case e dalla loro terra natale. Queste politiche non solo violano numerosi diritti fondamentali dei palestinesi, tra cui il diritto alla casa, ma contravvengono anche a principi chiave del diritto internazionale, come quelli stabiliti nelle Convenzioni di Ginevra, che proibiscono la trasferimento forzato della popolazione civile e l’alterazione demografica dei territori occupati.
Attraverso questo documento, si denuncia fermamente questa pratica illegale e inumana, chiedendo una immediata cessazione di tali politiche e la restituzione delle terre ai loro legittimi proprietari palestinesi.
2. L’espansione degli insediamenti: L’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati rappresenta una delle più gravi e persistenti violazioni dei diritti del popolo palestinese. Nonostante le ripetute condanne internazionali, inclusi diversi pronunciamenti dell’ONU che dichiarano illegale l’espansione degli insediamenti, Israele ha continuato a costruire e ampliare le colonie ebraiche in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Questa politica non solo infrange il Diritto Internazionale, in particolare l’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra che vieta l’insediamento di popolazioni dell’occupante nei territori occupati, ma mina anche qualsiasi tentativo di pace duratura nella regione.
Gli insediamenti compromettono la continuità territoriale necessaria per la realizzabilità di uno Stato palestinese sovrano e sostenibile, frammentando la Cisgiordania in enclavi isolate e limitando gravemente l’accesso dei palestinesi alle loro risorse naturali, come l’acqua e la terra coltivabile. Inoltre, la presenza di insediamenti è spesso accompagnata da un incremento di tensioni e violenze, dato che l’esistenza stessa di queste colonie provoca frequenti scontri tra coloni e comunità palestinesi locali.
Questo documento esprime una ferma condanna dell’espansione degli insediamenti israeliani, sottolineando la necessità urgente di arrestare tutte le nuove costruzioni e di smantellare quelle esistenti in violazione del diritto internazionale. Tale azione è essenziale non solo per conformarsi alle leggi internazionali, ma anche per avanzare verso una soluzione pacifica e giusta al conflitto israelo-palestinese.
3. La demolizione delle abitazioni: Uno degli aspetti più distruttivi delle politiche israeliane nei territori occupati è rappresentato dalla demolizione sistematica delle abitazioni palestinesi. Queste demolizioni sono spesso giustificate dalle autorità israeliane con argomentazioni amministrative, come la mancanza di permessi edilizi, che sono estremamente difficili da ottenere per i palestinesi a causa di un sistema burocratico fortemente discriminatorio. In altri casi, le demolizioni sono direttamente legate a puniti rappresaglie seguite ad attacchi contro israeliani, applicando una forma di punizione collettiva che colpisce famiglie e comunità innocenti.
Le conseguenze di queste demolizioni sono devastanti: famiglie intere si trovano improvvisamente senza tetto, con la perdita di tutte le loro proprietà e con scarse possibilità di ricostruzione. Questa pratica non solo infrange il diritto fondamentale all’alloggio, ma incide profondamente sulla coesione e stabilità sociale delle comunità palestinesi. Inoltre, contribuisce al ciclo di disperazione e resistenza che alimenta ulteriori tensioni nella regione.
Il diritto internazionale, in particolare le leggi umanitarie internazionali, proibisce la distruzione arbitraria di proprietà civili durante conflitti e occupazioni. Nonostante ciò, le demolizioni continuano a essere una pratica frequente, evidenziando una violazione sistematica e intenzionale dei diritti umani da parte di Israele.
Questo documento condanna fermamente la demolizione delle abitazioni palestinesi come una pratica illegale e immorale. Chiediamo che cessino immediatamente tutte le demolizioni e che vengano adottate misure per garantire che i palestinesi nei territori occupati possano vivere in sicurezza e dignità, senza la minaccia costante di vedersi distruggere la casa. Inoltre, si sollecita la comunità internazionale a prendere posizioni concrete e efficaci per assicurare la fine di queste pratiche e per sostenere la ricostruzione delle strutture distrutte.
4. Restrizioni alla libertà di movimento: Una delle misure più oppressive implementate da Israele nei territori occupati riguarda le severe restrizioni alla libertà di movimento dei palestinesi. Queste restrizioni sono imposte attraverso un rigido sistema di checkpoint militari, strade riservate esclusivamente agli israeliani e un esteso muro di separazione che taglia attraverso la Cisgiordania. Tale sistema non solo divide fisicamente le comunità e frammenta il territorio palestinese, ma impedisce anche l’accesso a servizi essenziali come l’assistenza sanitaria, l’educazione e le opportunità economiche.
Il muro di separazione, dichiarato illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 2004, continua a essere una fonte di grave disagio per la popolazione palestinese, limitando il loro accesso alle terre agricole e separandoli dai loro luoghi di lavoro e istituzioni educative. Le restrizioni imposte limitano anche la capacità dei palestinesi di mantenere relazioni sociali e familiari, contribuendo all’isolamento e alla marginalizzazione di intere comunità.
Queste pratiche violano numerose normative internazionali, inclusi i diritti umani fondamentali alla libertà di movimento e alla libera scelta della residenza. Inoltre, complicano ogni tentativo di soluzione pacifica del conflitto, mantenendo un ambiente di tensione e instabilità.
Attraverso questo documento, si condanna con forza le restrizioni alla libertà di movimento imposte ai palestinesi come una forma di controllo oppressivo e una violazione dei loro diritti umani fondamentali. È imperativo che queste pratiche cessino immediatamente, permettendo ai palestinesi di vivere una vita senza costrizioni arbitrari e discriminazioni, e facilitando un cammino verso la pace e la coesistenza nella regione. Si invita altresì la comunità internazionale a esercitare pressioni su Israele per rimuovere queste barriere e per ripristinare la libertà di movimento in tutti i territori occupati.
5. La violenza e l’uso eccessivo della forza: Le forze di sicurezza israeliane hanno ripetutamente impiegato livelli di forza sproporzionati e spesso letali contro i palestinesi nei territori occupati. Questo uso eccessivo della forza si manifesta in vari contesti, inclusi raid militari nelle aree residenziali, gestione delle proteste e operazioni di sicurezza. Tali azioni hanno frequentemente risultato in vittime civili, tra cui donne e bambini, che non erano coinvolti in attività violente al momento dell’incidente.
L’uso indiscriminato di munizioni letali, gas lacrimogeni, e altre forme di forza letale contro manifestanti non armati e civili è stato documentato e criticato da numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani. Questi episodi non solo costituiscono gravi violazioni dei diritti umani, ma contravvengono anche alle leggi internazionali che regolamentano l’uso della forza, secondo cui l’uso di mezzi letali è giustificato solo in situazioni di estrema necessità e in proporzione alla minaccia effettiva.
Inoltre, la frequente impunità di cui godono i membri delle forze di sicurezza israeliane per atti di violenza e abuso aggrava ulteriormente la situazione, minando la fiducia nel sistema giudiziario e alimentando un ciclo di violenza e ritorsione.
Attraverso questo documento, condanniamo fermamente l’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza israeliane come una pratica sistematica e una violazione intollerabile dei diritti fondamentali dei palestinesi. Chiediamo una revisione immediata e approfondita delle regole d’ingaggio delle forze israeliane, assicurando che siano in linea con gli standard internazionali. È altresì essenziale che venga garantita la responsabilità per gli atti di violenza, e che le vittime e le loro famiglie ricevano giustizia e compensazione adeguata. Sollecitiamo la comunità internazionale a monitorare attivamente queste pratiche e a intervenire quando necessario per proteggere i diritti e la sicurezza dei civili palestinesi.
6. L’assedio di Gaza: Dal 2007, la Striscia di Gaza vive sotto un blocco imposto da Israele, che ha avuto effetti devastanti sulla vita di circa due milioni di abitanti dell’enclave. Questo assedio ha limitato severamente l’importazione di beni essenziali, tra cui cibo, medicinali, e materiali da costruzione, compromettendo gravemente le infrastrutture sanitarie, educative e economiche della regione. La restrizione alla mobilità dei cittadini di Gaza, che impedisce loro di lasciare la Striscia per motivi medici, educativi o economici, rappresenta una grave violazione della libertà di movimento e del diritto umano a una vita dignitosa.
Il blocco ha anche effetti diretti sull’economia di Gaza, con una disoccupazione che raggiunge livelli allarmanti e una povertà diffusa. Le restrizioni alla pesca e all’agricoltura hanno ulteriormente limitato le opportunità economiche per gli abitanti, aggravando la situazione di insicurezza alimentare. La dipendenza da aiuti umanitari è diventata una norma, con molte famiglie che dipendono completamente dalle organizzazioni internazionali per la sopravvivenza.
Queste condizioni hanno creato un ambiente insostenibile, in cui problemi come la malnutrizione, la mancanza di servizi medici adeguati e l’accesso limitato all’acqua potabile mettono a rischio la vita quotidiana. Le continue interruzioni di energia elettrica aggravano ulteriormente la crisi umanitaria, limitando l’accesso a servizi essenziali come l’illuminazione e la refrigerazione.
La situazione a Gaza è stata descritta da molte organizzazioni umanitarie come una punizione collettiva contro la popolazione civile, una pratica proibita dalle leggi internazionali umanitarie. Attraverso questo documento, denunciamo con forza l’assedio di Gaza come una violazione grave e prolungata dei diritti umani. Chiediamo la fine immediata del blocco e l’apertura delle frontiere per permettere un flusso libero di persone e beni, essenziale per la ricostruzione della vita sociale ed economica di Gaza. Sollecitiamo inoltre la comunità internazionale a intensificare i suoi sforzi per garantire che queste misure vengano revocate e che la dignità e i diritti dei cittadini di Gaza siano pienamente rispettati e protetti.
7. Le migliaia di morti palestinesi: Le operazioni militari e le azioni di polizia condotte da Israele nei territori occupati hanno portato alla morte di migliaia di palestinesi, compresi donne, uomini, anziani e bambini. Questi tragici eventi si sono verificati in contesti di manifestazioni, incursioni militari e attacchi aerei. Allo stesso tempo, decine di migliaia di palestinesi sono stati feriti, spesso in circostanze che implicano l’uso di forza eccessiva e munizioni letali da parte delle forze di sicurezza israeliane. Questi episodi hanno avuto luogo non solo durante momenti di confronto diretto ma anche in situazioni in cui i civili non rappresentavano una minaccia imminente, mettendo in luce un chiaro disprezzo per la vita e la sicurezza dei palestinesi. L’alto numero di vittime e feriti evidenzia una pattern di violenza e aggressione che è stato ampiamente documentato e criticato da organizzazioni per i diritti umani internazionali, sollevando preoccupazioni riguardo a possibili violazioni delle leggi internazionali umanitarie e dei diritti umani.
Questo documento condanna inequivocabilmente la morte e il ferimento di migliaia di palestinesi come risultato diretto dell’uso eccessivo e indiscriminato della forza da parte di Israele. Si chiede un’indagine internazionale indipendente su queste morti e ferimenti, assicurando che i responsabili siano tenuti a rendere conto. È imperativo che la comunità internazionale agisca con decisione per prevenire ulteriori perdite di vite innocenti e per garantire il rispetto dei diritti umani e della dignità di tutti i palestinesi.
Nel contesto dell’attuale situazione in Medio Oriente, Giovani Senza Frontiere ha deciso di adottare una posizione chiara e inequivocabile, guidata dai principi dei diritti umani e del diritto internazionale. Questa posizione, pur essendo informata dalla visione e dal coraggio espressi nei dieci punti fondamentali delineati da Craig Mokhiber nella sua lettera di dimissioni dal ruolo di direttore dell’ufficio ai Diritti Umani delle Nazioni Unite a New York, riflette un impegno profondo alla giustizia e alla pace.
La nostra organizzazione riconosce la necessità di abbandonare il paradigma fallito di Oslo e di riconoscere la realtà di una situazione in cui un potere sproporzionato sta perseguendo politiche di colonizzazione e apartheid basate sull’etnicità. Supportiamo l’idea di un singolo stato democratico e laico nella Palestina storica, che garantisca uguali diritti per tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla loro religione o etnia, e che ponga fine alle pratiche di apartheid.
Inoltre, insistiamo sulla necessità di una vera giustizia di transizione che includa il riconoscimento del diritto al ritorno e alla compensazione per i palestinesi sparsi in tutto il mondo, così come la necessità di una forza di protezione delle Nazioni Unite per garantire la sicurezza dei civili. È essenziale anche il disarmo delle armi nucleari, chimiche e biologiche per prevenire ulteriori escalation del conflitto.
Riconosciamo che gli Stati Uniti e altre potenze occidentali non possono essere considerati mediatori imparziali in questo contesto, data la loro storia di complicità nelle violazioni dei diritti dei palestinesi. Come tale, è necessario rivedere il ruolo di questi attori nel processo di pace.
Infine, Giovani Senza Frontiere si apre e sostiene tutte quelle voci che si alzano in difesa dei diritti e che lavorano per la fine delle ingiustizie in questa regione tormentata. La nostra porta è sempre aperta a chi lotta per la giustizia, l’autodeterminazione dei popoli e il rispetto dei diritti umani universali. Al tempo stesso, rifiutiamo ogni forma di normalizzazione di un’entità che, in violazione sistematica del diritto internazionale e delle convenzioni sui diritti umani, contribuisce al mantenimento di uno stato permanente di guerra, occupazione e discriminazione. La pace autentica non può essere costruita sull’impunità, ma solo sul riconoscimento delle responsabilità, sulla fine dell’oppressione e sul rispetto del diritto.
Questo position paper è stato redatto dal direttivo di Giovani Senza Frontiere con il fondamentale contributo di Giosef Torino e della sua Presidente Annamaria Simeone.
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