Mafie & Social Media: intervista ad Attilio Bolzoni con VIDEO

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Ha iniziato collaborando con il quotidiano “L’Ora” ed è stato poi corrispondente di Repubblica dal 1982. Ha vinto il premio per il giornalismo per aver raccontato per oltre trent’anni la storia della Sicilia e delle mafie e nel 2019 ha scritto il suo ultimo libro, “Il padrino dell’antimafia” edito da edito da Zolfo Editore, dove racconta la storia di Calogero Montante l’ormai celebre “pupo e puparo” della “legalità siciliana”. Oggi scrive per “Domani” il nuovo quotidiano di Carlo De Benedetti. La nostra intervista ha come oggetto una riflessione sul tema dell’evoluzione della comunicazione delle mafie all’epoca dei social network. Se pensiamo a quanta differenza intercorre tra il l’idea del mafioso con la lupara e la coppola “che niente sa e niente dice” ad un Luciano Leggio che nel 1986 si fa intervistare in televisione da Enzo Biagi: Come si è evoluto nella storia il modo di comunicare delle mafie? “Esiste intorno a questi temi una grande superficialità nell’informazione. Molta recita, molta giaculatoria, molta informazione galleggiante e poco vero sapere. Partiamo da Palermo. Ad un certo punto nel quartiere dello Zen, dopo l’arresto di uno dei presunti capimafia del posto, che era diventato famoso lo scorso anno per aver distribuito viveri alla gente del quartiere, gli equilibri cambiano, diventano instabili. Così una sera avviene una sparatoria. E’ successo proprio un mese e mezzo fa, una grande sparatoria. Tre rimangono a terra, tre finiscono all’ospedale di Villa Sofia al pronto Soccorso: uno ha una pallottola che gli frantuma la caviglia, uno alla spalla, fino a qua tutto regolare. Questi tornano a casa e la sfida, che era cominciata per strada a colpi di pistola, si trasferisce su Facebook, si insultano su Facebook. Allora ha ragione Maresco nel suo film “Non c’è più la Mafia di una volta”. Cioè la mafia è un’organizzazione segreta, criminale e questi vanno su Facebook. Ma allora di che stiamo parlando? È questa la mafia? O quell’altra dei “nuovi capi mafia” che stanno nel Golfo di Mondello con gli acquascooter, che si fanno i selfie ed urlano, gridano e ridono.Tutto il contrario di quello che noi abbiamo pensato che fosse la mafia nei 50,100,300 anni precedenti. C’è un mutamento antropologico. Mutamento antropologico che “dalla ricotta” e da quella verdura chiamata cicoria – come diceva il vecchio zio Bernardo Provenzano – arriva a tutto quello che è costoso, esclusivo, ricco. Ma è questa la mafia, o è la rappresentazione che il potere vuole dare della mafia? Per me la mafia non è questa, questa è la mafia da marciapiede, la mafia da borgata di sangue e di merda. La vera mafia è la mafia di sempre, che fa accordi col potere ed è silenziosa, che fa accordi con la politica, con la finanza, con l’imprenditoria.” Abbiamo visto in questi anni il proliferare su Facebook di gruppi e pagine che veicolano messaggi mafiosi. Emblematico è il caso di quel gruppo, “Onore è dignità” che raccolse quasi 20.000 follower che si scoprì essere stato creato da tale Vincenzo Torcasio, boss di un clan della ndrangheta condannato poi a 30 anni di carcere nel 2017 . Quali sono i rischi ed i pericoli attorno un fenomeno del genere? Il fatto che un mafioso più o meno influente possa, tramite lo strumento social, lanciare questi messaggi criminali ai cittadini, quale rischio rappresenta? “Guarda i rischi sono tanti,tu hai fatto questo esempio, ma vogliamo parlare dei del figlio di Totò Riina che ha la sua bella pagina? Vogliamo parlare del primo genero di Totò Riina, Tony Ciavarello che interviene su Facebook e lancia minacce colleghi miei giornalisti? I rischi sono tantissimi. Ti racconto una cosa che pochi sanno perché l’ho tenuta abbastanza riservata, ma questa è l’occasione per parlarne. Due anni e mezzo fa io avevo un blog su Repubblica che adesso è sul Domani. A un certo punto ho chiesto al presidente del Senato Grasso, ad un vescovo, al ministro della Giustizia Orlando, a 5 o 6 funzionari della DIA, a 5 o 6 magistrati famosi, un intervento sul 23 maggio e ciascuno di loro mi ha fatto una riflessione che io ho cominciato a pubblicare sul mio blog. Dopo due o tre giorni Facebook mi ha oscurato tutto. Quindi ha oscurato il presidente del Senato, il Ministro di Grazia e Giustizia, un vescovo, 5 funzionari della dia, 5 alti magistrati, interventi ne osceni né fuori dalle righe. Erano ricordi del dottore Falcone e del dottore Borsellino. Perché questo è successo? Perché qualcuno è intervenuto. Ha segnalato questi post, che Facebook senza fare un’istruttoria, ma con il famigerato algoritmo, ha oscurato. Allora è terrificante questo strumento. Se “Onore è rispetto” è online, se il figlio di Riina può farlo e poi il presidente del Senato o il ministro di Grazia e Giustizia non possono intervenire, c’è qualcosa di straordinariamente pericoloso”. Non potrebbe essere uno strumento utile quello di indagare partendo proprio dagli amministratori di questi gruppi Facebook, da chi crea queste pagine Facebook? Esistono delle inchieste giornalistiche, anche internazionali, nate appunto da piste basate sull’osservazione dei social network? “ L’Italia è più avanti di altre

Mafie & Social Media : la comunicazione mafiosa ai tempi dei social network

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